Dopo dei malori, la mia compagna si era recata al pronto soccorso. Nonostante, continuasse a stare male, la dottoressa ne ordinava le dimissioni. Non avendo noi auto, il rientro al domicilio avveniva in ambulanza. Circa dieci minuti dopo averla lasciata, la mia compagna subiva un altro malore. Richiamavo ambulanza ma non rientrava, dicendo che avrei dovuto chiamare nuovamente il 118. E’ corretto? Cosa posso fare?
Con riguardo alla questione ambulanza e al rifiuto di ritornare presso la Sua abitazione, bisogna distinguere il caso in cui l’ambulanza si trovava presso la Sua proprietà privata (magari all’interno di un cortile), e il caso in cui, invece, l’ambulanza fosse già per strada.
Nel primo caso, non vi è dubbio che l’ambulanza deve risalire per apportare le cure del caso.
Nel secondo caso, occorrerebbe fare nuovamente il 118 e richiedere l’intervento dell’ambulanza in via d’urgenza; in quella fattispecie, il centralino chiamerà l’ambulanza all’uopo designata per fare accesso presso la Sua abitazione per le prime cure.
Detto ciò, il comportamento tenuto dal milite non pare di certo professionale, né tantomeno umano.
Questi avrebbe potuto comunque avvertire la centrale della chiamata e ottenere l’autorizzazione al rientro invece di infischiarsene della richiesta di soccorso; tuttavia, non credo possano esserci gli estremi di una fattispecie di reato, ma potrebbe essere utile predisporre una lettera alla Croce Verde Intemelia per dare voce a quanto amaramente accaduto, oltre che agli enti preposti, nella speranza che, in futuro, ciò possa non accadere più.
Con riguardo al probabile caso di malasanità, il mio consiglio è quello di procedere con l’ottenimento di una relazione da parte di un medico-legale che possa confermare la responsabilità professionale dei medici intervenuti, oltre quella contrattuale della struttura ospedaliera.
La relazione che si otterrà servirà pure a indiziare il Giudice di quella che, a tutti gli effetti, potrà definirsi come un caso di omesso soccorso.
Inoltre, Le permetterà di procedere anche alla quantificazione del risarcimento dei danni per la perdita della Sua compagna.
Infine, la relazione è fondamentale anche perché, nella denegata ipotesi in cui il medico legale individuato dovesse individuare l’assenza di responsabilità, questo Le consentirebbe di valutare l’opportunità di un’azione legale, o di individuare altro medico legale che possa confermare o smentire il primo.
Insomma, in questa prima fase, la consultazione di un medico-legale è propedeutica per indirizzare la vicenda in un verso o nell’altro.
Dopodiché, ricevuto il parere positivo del medico, che sarà il proprio consulente di parte, si potrà avviare la fase contenziosa.
Inizialmente, si invierà una richiesta stragiudiziale ai responsabili, ivi inclusa la struttura ospedaliera, al fine di verificare se da parte di questi vi è la volontà di collaborare per riconoscere un risarcimento del danno. La richiesta potrà essere accompagnata dall’invito ad instaurare una negoziazione assistita, con la nomina per ogni parte di un proprio legale.
Se quell’invito dovesse essere disertato, o non accettato, allora non resterà che avviare il giudizio vero e proprio, con il quale si richiederà l’accertamento della responsabilità dei sanitari e quindi il risarcimento dei danni subiti.
Inoltre, dalla relazione del medico, potrà rilevarsi anche una responsabilità di natura penale dei medici intervenuti, che potrebbe farle valutare il deposito di una denuncia in Procura.
In tema di responsabilità medica, l’introduzione del parametro di valutazione dell’operato del sanitario costituito dalle linee-guida e dalle buone pratiche clinico-assistenziali, ha, in particolare, modificato i termini del giudizio penale, imponendo al Giudice un’articolata motivazione, dovendo il Giudice verificare, in primo luogo, se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali e, in secondo luogo, valutare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri in relazione al concreto rischio che si sarebbe dovuto evitare, nonché in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata dalle suddette linee guida.
Se esistono quei parametri, allora si potrà valutare l’esistenza della fattispecie di reato dell’omicidio colposo.
Ad ogni modo, occorrerà valutare attentamente cosa fare: se agire in sede civile o penale.
Infatti, l’accertamento del nesso eziologico tra la condotta del medico e l’evento dannoso patìto dal paziente va accertato in sede civile secondo la regola della preponderanza dell’evidenza o del ‘più probabile che non’, diversamente dal processo penale nel quale vige la regola della prova ‘oltre il ragionevole dubbio (Tribunale Pisa, sez. I, 25/10/2022, n. 1279).
Questo che significa?
Che avviando il giudizio penale, la cui prova di responsabilità è più stringente, potrebbe rischiarsi, soprattutto nei casi borderline, che il nesso non venga dimostrato.
Con quali conseguenze?
Quelle di perdere il diritto al risarcimento.
Così, nella controversia civile promossa dal danneggiato al fine di ottenere la condanna di una struttura sanitaria al risarcimento dei danni, a titolo di responsabilità contrattuale ex art. 1228 c.c., per il fatto colposo dei medici dei quali la stessa si sia avvalsa nell’adempimento della propria obbligazione di cura, la sentenza penale irrevocabile – pronunciata, all’esito di dibattimento, nel processo al quale abbia partecipato (o sia stata messo in condizione di partecipar) il solo danneggiato come parte civile – che abbia assolto i medici con la formula “perché il fatto non sussiste”, in virtù dell’accertamento dell’insussistenza del nesso causale tra la condotta dei sanitari e l’evento iatrogeno, sulla base dei medesimi fatti oggetto del giudizio civile risarcitorio, esplica, ai sensi dell’art. 652 c.p.p., piena efficacia di giudicato, ostativo di un diverso accertamento di quegli stessi fatti, ed è opponibile all’attore danneggiato, ai sensi dell’art. 1306, comma 2, c.c., da parte della struttura sanitaria convenuta (debitrice solidale con i medici assolti in sede penale), ove la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata in primo grado e successivamente coltivata (Cassazione civile, sez. III, 12/09/2022, n. 26811).
Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Salvatore Cirilla
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