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Immagine del redattoreSalvatore Cirilla

Pignoramento conto corrente: quali limiti e responsabilità?

Viene pignorato tutto conto cointestato, oltre tutto lo stipendio che era stato accreditato. Era giusto pignorare il conto corrente cointestato? E gli stipendi lì accreditati e pignorati totalmente? Infine, qual è la procedura per liberare i conti e quale risarcimento posso chiedere alla banca?


Procediamo per ordine. Con riguardo alla mancata concessione di una somma utile a garantire il minimo vitale da parte della Banca, dobbiamo fare una precisazione.

La Banca, quando riceve la notifica di un pignoramento, viene nominata dall’ufficiale giudiziario quale custode delle somme, e non può disporne se non su ordine del Giudice.


In questo senso, la Banca deve accantonare le somme presenti nel conto, facendo attenzione ai limiti previsti dalla legge (vedremo di seguito, ad esempio, per lo stipendio, o per la parte non di proprietà del debitore).


In tal senso, la condotta della banca è illecita.


Invece, al netto di queste limitazioni, che rappresentano un’eccezione alla regola (quinto dello stipendio, o metà – a seconda della fattispecie, presenza di cointestatari), la Banca avrà l’obbligo di accantonare tutto le giacenze presenti fino ad arrivare alla quota pignorata, che non può comunque eccedere l’importo indicato in atti, aumentato della metà.


Spetterà, poi, al Giudice stabilire l’importo da considerare impignorabile per il rispetto del minimo vitale.


Con riguardo alle somme di pertinenza del cointestatario, non pignorato, la condotta pare palesemente illegittima.


In un deposito in conto corrente cointestato a più persone con facoltà per ciascuna di esse di compiere, anche separatamente, operazioni, il creditore di una di esse non può pignorare presso la banca l’intera somma portata in deposito, ma soltanto la quota di spettanza del suo debito determinata secondo il principio posto dall’art. 1101 c.c., secondo il quale le quote di partecipazione alla comunione si presumono uguali(sul punto, si confronti da ultimo, Tribunale Benevento, sez. I, 11/09/2020, n. 1184).


Per tali ragioni, si sarebbe potuta presentare un’opposizione all’esecuzione.


Essendo la procedura estinta, resta la condotta illecita della Banca.


Con riguardo agli stipendi pignorati, occorre prendere in mano il codice di procedura civile e leggere l’art.545, secondo cui le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma (in sostanza, non oltre la metà).


Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio.


La cosa più opportuna da fare, all’epoca dei fatti, era – anche qui – quella di fare opposizione e di contestare, tra le altre cose, l’indebito pignoramento del 100% del pignoramento.


In questa fase, non resta che lamentare la illecita condotta della Banca che ha trattenuto più delle somme legalmente accantonabili.


Stessa condotta illecita pare esserci per il blocco ingiustificato del conto anche a seguito di liberatoria operata dal creditore.


E infatti, con riguardo alla rinuncia al PPT, la Banca – al momento della ricezione della notifica del pignoramento – è nominata custode delle somme pignorate.


Tant’è che l’ufficiale giudiziario, nell’atto di pignoramento, ammonisce il terzo pignorato di non disporre, senza ordine del Giudice, delle somme pignorate.


La conseguenza sarebbe quella di essere condannati penalmente per violazione degli obblighi del custode giudiziario.


Per svincolare le somme pignorate, dobbiamo prima verificare se la procedura esecutiva è stata iscritta o meno presso il Tribunale.


Se non è stata iscritta, alla Banca servirebbe semplicemente un atto di rinuncia del creditore (in questo caso l’avvocato) ad iscrivere la causa a ruolo. In questo modo, la Banca sarebbe esonerata da qualsiasi responsabilità, essendo lo stesso creditore a dichiarare la rinuncia all’iscrizione.


Diverso è il caso della causa iscritta a ruolo (quindi, giudizio già pendente).


In questo caso, occorrerà che il creditore non solo notifichi l’istanza di rinuncia, ma anche che:

  • l’istanza sia depositata presso il fascicolo telematico del pignoramento iscritto in Tribunale;

  • il Giudice dell’Esecuzione nominato dichiari l’estinzione della procedura esecutiva.


Successivamente, il provvedimento del Giudice dovrà essere notificato al debitore e alla Banca che, alla luce dell’ordine del Giudice, potrà svincolare le somme pignorate (ingiustamente).


Per tali ragioni, tornando al caso di specie, se la Banca – ricevute le rassicurazioni del caso (come sopra delineate) ha compiuto un’illecita trattenuta di quelle somme oltre il dovuto, allora dovrà ritenersi responsabile.

Acclarata l’eventuale (quanto – sembra – probabile) responsabilità della Banca, occorrerà valutare una potenziale azione di risarcimento del danno subito.


In questo caso, è fondamentale – per la corretta riuscita dell’azione risarcitoria – poter dimostrare gli elementi fondamentali:

  • la condotta illecita;

  • l’evento danno;

  • il nesso causale tra la condotta e l’evento;

  • la quantificazione del danno.

Solo con la dimostrazione dell’esistenza dei sopra citati punti, si potrà ottenere una pronuncia favorevole da parte dell’arbitrato bancario o, in subordine, del giudice.


Difficilmente la Banca collaborerà nel riconoscere (o, meglio, confessare) una propria responsabilità e nel risarcire il cliente.


Durante la mia carriera professionale non ho mai assistito a tale tipo di collaborazione.

L’elemento più difficile da dimostrare è il danno in sé.


Mi spiego meglio.


È ovvio che il danno (inteso come disagio) è stato importante e tangibile, ma per i giudicanti occorre qualcosa in più: occorre cioè dimostrare la economicità del danno.


Facciamo un esempio concreto.


Se per l’indisponibilità delle somme illecitamente congelate, Lei ha dovuto ricorrere ad un finanziamento, o non ha potuto pagare una rata del mutuo, allora il danno potrebbe consistere nei costi da Lei sostenuti per far fronte a quei disagi (spese istruttorie per finanziaria, interessi pagati, illecita segnalazione a sofferenza per rata mutuo non pagata).


In questo senso, occorrerebbe fare una valutazione concreta del tipo di disagio ricevuto.

Lei ha indicato nella propria richiesta i vari disagi ricevuti, ma dovremmo trasformarli in:

  • “danno pecuniario”,

  • esborso economico sostenuto necessariamente per quella condotta,

  • o anche in perdita di chances.

Solo così si potrà determinare “il quantum debeatur”.


Le riporto un estratto dell’Arbitrato Bancario che, su una vicenda simile alla Sua, ha stabilito che, nonostante la condotta della banca non sia stata conforme a correttezza, la richiesta risarcitoria avanzata dalla parte ricorrente è priva di qualsiasi supporto probatorio.“Com'è noto, è principio fondamentale di diritto che chi agisce per il soddisfacimento di una propria pretesa, deve dimostrare i fatti su cui essa si fonda; nel caso di specie, il ricorrente non ha esibito alcun documento dal quale si possa evincere il danno di cui chiede il risarcimento” (Collegio di Torino, Decisione N. 21330 del 11 settembre 2019).


Come stabilito già dal Collegio di Milano (Decisione n. 5618/2015), “in mancanza della prova del danno, non è possibile neppure procedere alla liquidazione in via equitativa del danno meramente patrimoniale, in quanto l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa è conferito al giudice …”.


Per tali ragioni, nel caso in cui non si riuscisse a determinare l’effettivo danno, ma si lamentasse il cosiddetto “danno morale”, per la richiesta di liquidazione in via equitativa, sarebbe necessario adire la giustizia ordinaria.


Diversamente, si correrebbe il rischio di ricevere una dichiarazione di inammissibilità da parte dell’Arbitrato.


In sintesi, il mio consiglio è di procedere, tramite legale, ad una diffida nei confronti della Banca, dove rappresentare tutte le questioni sofferte, e chiedere i danni, da quantificare concordemente con il legale.

Personalmente, potrebbe essere equo chiedere una somma pari a 10mila euro, ma prenda tale indicazione con le pinze.


Se la lettera dovesse restare priva di riscontro, allora occorrerebbe andare davanti al Giudice competente per ottenere l’accertamento della condotta illecita e il risarcimento del danno, da disporsi in via equitativa.


Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Salvatore Cirilla

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