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Immagine del redattoreSalvatore Cirilla

Demansionamento: sono legittime le dimissioni?

Può essere sanzionata la decisione del dipendente di lasciare improvvisamente il posto di lavoro a seguito di una decisione ingiusta del datore?


Il rapporto col proprio datore di lavoro è fondamentale: se il legame è propositivo, il dipendente riuscirà sicuramente ad essere più proficuo durante la giornata lavorativa, perché più sereno nello svolgimento dei compiti a lui demandati. Diversamente, un rapporto pieno di astio e atteggiamenti ritorsivi porta il lavoratore a vivere le proprie mansioni con ansia e timore, con le correlate conseguenze negative in termini di produttività.

Ma cosa succede se l’atteggiamento ostruzionistico del datore di lavoro sfocia in un demansionamento: sono legittime le dimissioni? Può essere considerata giusta causa di risoluzione del rapporto lavorativo? A seguire, analizzeremo questo fenomeno, le sue caratteristiche e le conseguenze per il datore di lavoro, per poi approfondire una recente pronuncia della Cassazione sul punto.


Indice

  1. Cos’è il demansionamento?

  2. Come si prova il demansionamento?

  3. Danno da demansionamento

  4. Sono legittime le dimissioni del lavoratore?


Cos’è il demansionamento?

Tra i diritti riconosciuti in capo al lavoratore, vi è quello alla utilizzazione, al perfezionamento ed all’accrescimento della propria esperienza e ad impedire, conseguentemente, che le nuove mansioni determinino una perdita delle potenzialità professionali acquisite sino a quel momento, o che per altro verso comportino una sottoutilizzazione del patrimonio professionale del lavoratore.


Questo diritto deve essere tutelato non solo con riguardo alle attività esplicate dal lavoratore, ma anche con riguardo al grado di autonomia e discrezionalità nel loro esercizio, nonché alla posizione del dipendente nel contesto dell’organizzazione aziendale del lavoro.


Si parla, dunque, di demansionamento ogniqualvolta ci sia la modifica qualitativa delle mansioni assegnate al dipendente; modifica che determini in concreto un progressivo depauperamento del bagaglio culturale del lavoratore ed una perdita di quelle conoscenze ed esperienze richieste dal tipo di lavoro svolto, che finiscono per tradursi in un graduale indebolimento della professionalità ed in una sua più difficile futura utilizzazione.


Occorre precisare come il demansionamento non debba essere necessariamente legato alla diversa qualifica contrattuale; ad esempio, è illegittimo spostare un lavoratore da mansioni di concetto a compiti manuali anche se la variazione avviene all’interno della medesima qualifica contrattuale. Né il datore di lavoro può invocare una acquiescenza ai nuovi compiti basata soltanto sul decorso di un lasso di tempo.


Come si prova il demansionamento?

Il riconoscimento del demansionamento non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma deve essere provato dal lavoratore, attraverso l’allegazione di elementi, anche presuntivi, gravi, precisi e concordanti. Tale danno non si porrebbe, infatti, quale conseguenza di ogni comportamento illegittimo del datore di lavoro; pertanto, non sarebbe sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale.


Conseguentemente, non ogni modificazione quantitativa delle mansioni affidate al lavoratore, è sufficiente ad integrare un demansionamento e, nell’accertarne l’esistenza, occorre avere riguardo all’incidenza della riduzione delle mansioni sul livello professionale raggiunto dal dipendente, sulla sua collocazione nell’ambito aziendale.


Gli elementi di cui dare conto sono:

  • la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta;

  • il tipo e la natura della professionalità coinvolta;

  • la durata del demansionamento;

  • la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.

Come dare dimostrazione di questi elementi? La prova chiave è sicuramente quella documentale: mail, messaggi, carteggio lavorativo. Tuttavia, possono essere valutate anche le deposizioni testimoniali, anche assunte in altro processo tra le stesse parti.


Una volta dimostrati quegli elementi, sarà poi il datore di lavoro a dover smentire le prove assunte, avvalorando la legittimità dell’assegnazione di compiti lavorativi ben precisi, trattandosi di responsabilità contrattuale.


Danno da demansionamento

Cosa puoi fare se sei vittima di un demansionamento? Innanzitutto, dovrai rivolgerti ad un legale, esperto nel settore, al fine di verificare se la condotta può essere considerata legittima o meno.


Valutata positivamente l’esistenza del demansionamento, potrai pensare all’azione legale che meglio tuteli la tua posizione, chiedendo anche la liquidazione dei danni patiti.


Sulla questione danni, occorrerà distinguere:

  • il danno patrimoniale, derivante dall’impoverimento della capacità professionale del lavoratore, o dalla mancata acquisizione di maggiori capacità;

  • la perdita di chances, ovverosia di ulteriori possibilità di guadagno;

  • il danno non patrimoniale, comprendente sia l’eventuale lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore, accertabile medicalmente, sia il danno esistenziale, da intendersi come ogni pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, che alteri le sue abitudini e le sue relazioni, inducendolo a scelte di vita diverse, sia, infine, la lesione arrecata all’immagine professionale ed alla dignità personale del lavoratore.


Sono legittime le dimissioni del lavoratore?

Sappiamo che, in mancanza di giusta causa, il lavoratore dimessosi dovrebbe corrispondere il corrispettivo per i mesi di preavviso non lavorato. Tale previsione è finalizzata ad evitare un danno per il datore di lavoro che, per via di una decisione arbitraria e improvvisa del lavoratore, si ritrovi un posto vacante in azienda dall’oggi al domani, così subendo un danno produttivo e, comunque, aziendale nella sua attività imprenditoriale.


Se, invece, le dimissioni avvengono per giusta causa, il diritto del datore di lavoro ad avere il preavviso viene meno. Ci si è chiesti, dunque, se il demansionamento possa rientrare tra i casi di giusta causa, giustificatrice delle dimissioni improvvise del lavoratore. Sul punto, si è da ultimo pronunciata la Corte di Cassazione [1], confermando, tra le righe, questo orientamento.


Tutto nasceva da un ordine di servizio il cui contenuto già appariva, a prima vista, demansionante per il lavoratore; tuttavia, lo stesso non era stato contestato in un primo momento.


Il datore di lavoro aveva invocato l’illegittimità della sentenza della Corte d’Appello che aveva ritenuto irrilevante, ai fini del legittimo esercizio delle dimissioni sorrette da giusta causa, la sperimentazione in concreto delle mansioni dequalificanti assegnate.


Secondo la Cassazione, però, il giudice di appello ha rispettato le risultanze istruttorie del processo conclusosi, rappresentando come, nel prendere in esame l’incidenza immediata del provvedimento di assegnazione a mansioni diverse, ha avuto ben presente che ciò che veniva in rilievo era l’idoneità della condotta datoriale ad integrare una giusta causa di dimissioni.


In particolare, ha accertato che il demansionamento era risultato in concreto già dallo stesso provvedimento di assegnazione di mansioni non corrispondenti al grado di professionalità raggiunto dal lavoratore.


In sostanza, la Cassazione ha ritenuto provato che il lavoratore era stato privato di mansioni che avessero un livello di autonomia ed una rilevanza nell’ambito dell’organizzazione aziendale paragonabile a quelle in precedenza svolte. Per questi motivi, ha ritenuto le dimissioni improvvise, come legittime, perché sorrette da giusta causa.


 

Note

[1] Cass. Civ., sez. Lavoro, ordinanza n. 811/21 del 19.01.2021














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