Cosa fare in caso di rapporto lavorativo non dichiarato tra collaboratore domestico e assistito?
Tutti hanno a cuore la salute e la cura dei propri cari, ma non sempre è possibile garantire assistenza durante il giorno: gli impegni lavorativi, i figli, la casa, la spesa sono solo alcuni degli ostacoli che non ci permettono di essere sempre presenti in casa dei familiari più anziani. Per questo motivo, sempre più spesso, anche per evitare di trasferire la persona presso una casa di cura, si pensa ad assumere un collaboratore che, per l’intera giornata, o parte di essa, possa assistere il parente nelle vicende quotidiane. Purtroppo, i costi delle assunzioni sono elevati e non tutti possono permettersi di dichiarare il rapporto di assistenza venuto in essere; così, si decide di proseguire il rapporto senza alcuna comunicazione agli organi competenti. Ma cosa succede in questi casi? Quali sono le conseguenze? Come tutelarsi dalle badanti che, successivamente, pretendono l’assunzione in regola e gli arretrati contributivi? Verificheremo, in questo articolo, se esiste una soluzione che possa farti dormire sonni tranquilli.
Indice
Chi sono le badanti?
Si tratta di collaboratori domestici che vengono assunti dalla persona che ha bisogno di curemediche, o anche solo assistenziali. L’assistenza può coprire l’intera giornata oppure essere limitata alle sole ore diurne o notturne.
L’attività è resa non solo nei confronti di persone anziane, ma anche di persone malate o portatrici di handicap a cui è preclusa una movimentazione fisica agevole.
Tra le responsabilità principali della badante annoveriamo:
l’occuparsi della movimentazione della persona assistita, come il trasferimento nella sedia a rotelle;
l’assistenza negli spostamenti da una stanzaall’altra;
la cura della sua igiene personale;
la preparazione dei pasti;
la somministrazione delle medicine e di quant’altro necessario alla sua sopravvivenza.
Nella maggior parte dei casi, l’attività viene svolta presso la casa della persona assistita, ma non mancano le eccezioni di assistenza ospedaliera o presso le case di cura.
Differenza con colf e baby-sitter
Per quanto spesso si senta accostare i termini di colf e badanti, questi non si identificano nella stessa qualifica lavorativa, ma rappresentano due figure autonome, anche se simili sotto diversi aspetti.
Infatti, la colf – così come la badante – può essere chiamata ad occuparsi della sistemazione della casa, della pulizia, della cucina e di tutte le altre attività domestiche. Tuttavia, mentre la badante è chiamata a svolgere queste attività in favore di una persona che ha bisogno di assistenza, la colf svolge queste attività in favore di tutti i componenti familiari, per meglio agevolare i loro compiti in casa. Parliamo, insomma, della classica domestica.
Altro discorso riguarda la baby-sitter: tale mansione coincide con quella di badante anche sotto l’aspetto assistenziale ma, a differenza di quest’ultima, la baby-sitter cura e assiste non una persona anziana, o malata, ma un minore.
Rapporto di lavoro
Per far sì che venga costituito un rapporto di lavoro con la badante, occorre dimostrare il vincolo di subordinazione, inteso come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro.
Per agevolare l’individuazione della subordinazione, possono essere utili diversi indizi quali la collaborazione, l’osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l’assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione: tutti questi elementi possono, quindi, suggerire una subordinazione o, comunque, assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazionedel rapporto, ma devono essere valutati globalmente tutte le volte che non ne sia agevole l’apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull’atteggiarsi del rapporto [1].
L’onere di dimostrare il rapporto di lavoro spetta in capo alla badante; spetta cioè su chi agisce in giudizio fornire la prova del fatto costitutivo del proprio diritto. Se la badante non prova tale rapporto, non potrà ottenere nulla di quanto rivendicato e collegato alla prestazione di lavoro, nemmeno nei confronti degli eredi di quello che è l’assistito deceduto.
Cosa succede se non assumo regolarmente la badante?
In caso di instaurazione di un rapporto assistenziale tra badante e assistito, la legge richiede la dichiarazione di assunzione regolareai centri atti a ricevere tali comunicazioni. Ciò significa che la badante, messa in regola, avrà un suo stipendio regolare, e l’assistito provvederà, come per qualsiasi altro rapporto lavorativo, a versare i relativi contributi pensionistici.
Purtroppo, non tutti riescono a sostenere i costi di un’assunzione e, molto spesso, decidono, di comune accordo con la badante, di avviare un rapporto senza una comunicazione regolare di assunzione. Questa omissione, però, se scoperta, fa scattare le conseguenze fiscali, civili e, alle volte, anche penali del cosiddetto lavoro in nero.
Partendo dall’ambito più grave (e cioè quello penale), può succedere, infatti, che la badante sia cittadina extracomunitaria, priva di permesso di soggiorno. In questo caso, si configurerebbe un reato, in quanto la legge punisce l’assunzione di cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno.
Non solo. La badante non assunta regolarmente non è neppure tutelata dal punto di vista degli infortuni: così, potrebbe capitare che la stessa, nel corso dello svolgimento delle attività, subisca un infortunio più o meno grave e, priva di tutela, sarebbe costretta a rivalersi sull’assistito e non sugli istituti di competenza.
Dal punto di vista civile, potresti subire una causa di lavoro dalla badante stessa che, sebbene in un primo momento fosse d’accordo nel lavorare in nero, successivamente, abbia cambiato idea, consapevole dei propri diritti di lavoratrice lesi.
Tra l’altro in quel giudizio, la lavoratrice potrebbe far valere l’inquadramento legale corretto e avanzare anche una differenza retributiva, rispetto a quanto percepito durante il rapporto di lavoro. A questo si aggiunga l’omissione contributiva di quanto spettante all’Inps a titolo di contributi pensionistici. Insomma, il problema sarebbe bello grosso anche dal punto di vista economico.
A ciò si aggiungerebbe anche il problema fiscale di tutte quelle somme ricevute in nero, per le quali non si è mai pagato un centesimo di tasse. Pertanto, rischieresti pure l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, pronta a sanzionare tale condotta illegale.
Tra l’altro, non potresti nemmeno recriminare il fatto che entrambi eravate d’accordo nel non comunicare il rapporto di lavoro, visto che gli interessi coinvolti non sono solo privatistici, ma anche di natura pubblica, essendo lo Stato interessato alla regolarità della posizione lavorativa sia con riguardo all’ambito della sicurezza che all’ambito fiscale.
Come tutelarsi dalle badanti?
La risposta a questa domanda è quella più ovvia:
procedere con l’assunzione regolare della persona;
effettuare la comunicazione al centro per l’impiego;
fornire e pagare le relative buste paga, così come inquadrate in contratto;
versare i contributi pensionistici.
Diversamente, senza contratto, il rischio sarebbe quello evidenziato nel precedente paragrafo, a meno che la badante non sia una persona di fiducia, come un parente, e decida di assistere il necessitato per affetto o per semplice volontariato. In questo caso, mancando una controprestazione in denaro, non sarà necessaria l’assunzione.
Se, invece, il rapporto di lavoro si è svolto in nero e la badante ha deciso di avviare un giudizio contro di te, allora non ti resterà che andare da un legale per difenderti in giudizio. Qui, come detto, spetterà alla lavoratrice, tramite le prove testimoniali, dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e, quindi, ottenere, anche con l’aiuto di un consulente tecnico, il calcolo delle omissioni contributive e delle eventuali differenze retributive.
Il datore di lavoro non potrà fare altro che contestare quelle testimonianze, ma, senza ulteriori prove che smentiscano quelle deposizioni, avrà poco da recriminare in quel giudizio, se non dimostrando che quell’assistenza fu svolta a titolo gratuito e senza alcun vincolo di subordinazione.
Note
[1] Cass. civ., sez. VI, n.8883/2017 del 06.04.2017
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