Quali sono le azioni da intraprendere dopo aver ricevuto il ben servito da parte del datore di lavoro?
La sanzione del licenziamento è un tema trattato innumerevoli volte dai tribunali di tutta Italia, perché sempre oggetto di controversia tra datore di lavoro e lavoratore. Infatti, per quanto i casi di licenziamento legittimo siano predeterminati dalla legge, essi sono solo individuati in categorie generiche, spettando prima ai legali e, poi, ai giudici l’arduo compito di individuare quando questo provvedimento sia da considerarsi legittimo e quando no, sulla base di parametri sia soggettivi, che oggettivi. In questo articolo, dopo aver individuato i casi principali trattati dalla legge e dalla giurisprudenza di legittimità ed illegittimità di licenziamento, vedrai cosa fare dopo lettera di licenziamento. In particolare, scoprirai le tempistiche stabilite dal legislatore per impugnare il provvedimento e, quindi, ricorrere in tribunale per far annullare la sanzione che reputi ingiusta.
2.2 Fase giudiziale
Quando il licenziamento è legittimo?
Ovviamente, non tutti i provvedimenti di licenziamento possono essere considerati legittimi, dovendo ricorrere determinati requisiti. Infatti, i motivi per poter porre fine al rapporto di lavoro sono ben individuati dalla legge che, in questo modo, cerca di tutelare gli interessi del lavoratore.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Questa tipologia di licenziamento ricorre quando il datore di lavoro si scontra con una crisi economica, o produttiva dell’azienda ed è, quindi, costretto a prendere delle decisioni per tagliare gli sprechi e massimizzare i profitti.
In tale ipotesi, il licenziamento viene considerato legittimo, ma in caso di contestazione, il datore di lavoro dovrà dimostrare l’opportunità della scelta adottata e l’impossibilità di posizionare il lavoratore altrove; diversamente, il provvedimento sarà considerato illegittimo.
Licenziamento per giusta causa
Questo tipo di licenziamento è di natura disciplinare e consegue ad un comportamento del lavoratore considerato grave dal datore di lavoro, a tal punto da provvedere con la sanzione estrema.
A differenza degli altri licenziamenti, quello per giusta causa non prevede preavviso, tant’è che viene definito licenziamento in tronco. Esempi di questo tipo di provvedimento riguardano comportamenti ritenuti incongrui secondo legge, o secondo regolamento aziendale, anche se tanti sono i casi non espressamente previsti dalle normative che, però, vengono considerati della stessa gravità:
minacce, o altre condotte delittuose tenute nei confronti di colleghi, o del capo;
allentamento ingiustificato dal posto di lavoro;
insubordinazione;
rivelazione di segreti aziendali;
assenze ingiustificate dal posto di lavoro.
Licenziamento per giustificato motivo soggettivo
Scaturisce sempre da comportamenti illeciti del dipendente, ma che non possono essere considerati gravi a tal punto da giustificare un licenziamento per giusta causa.
In questo caso, il datore di lavoro dovrà inviare un preavviso con il quale avvertire il lavoratore dell’incombenza del provvedimento, ma quest’ultimo potrà continuare a lavorare, percependo il regolare stipendio fino alla scadenza del preavviso.
Licenziamento per malattia e incapacità lavorativa
I giorni di malattia che puoi prenderti non sono infiniti: esiste, infatti, un periodo, detto di comporto, che prevede un limite di giorni, oltre il quale il lavoratore può perdere il posto.
In questo caso, secondo il legislatore e la giurisprudenza, non sarà necessario motivare il licenziamento, ma basterà indicare il numero di assenze totali effettuate dal lavoratore.
Stesso discorso andrà fatto nel caso in cui il lavoratore subisca un’invalidità nel corso del rapporto di lavoro che gli impedisca di svolgere le attività per le quali è stato assunto. Se non esistono altre mansioni presso cui il lavoratore può essere posizionato, allora l’azienda potrà procedere al ben servito.
Cosa fare dopo aver ricevuto il licenziamento?
Una volta ricevuta la lettera di licenziamento, la prima cosa che pensi sia utile da fare è quella di insultare il tuo datore di lavoro. È normale. Tuttavia, una volta ritornata la lucidità, devi capire come muoverti legalmente.
Se pensi che il provvedimento sia illegittimo, devi analizzare il percorso stabilito dalla legge, che prevede un termine di decadenza stragiudizialeed un altro successivo, di natura giudiziale.
Fase stragiudiziale
Secondo la legge [1], il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla sua ricezione in forma scritta, con qualsiasi atto, anch’esso scritto, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento stesso.
La lettera di contestazione del licenziamento deve essere trasmessa dal lavoratore alla sede del datore di lavoro tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o, se possibile, anche tramite posta elettronica certificata. L’atto deve essere controfirmato dal lavoratore, anche se il contenuto viene poi redatto da un legale.
A proposito del contenuto, dovrai dichiarare la volontà di voler, a tutti gli effetti di legge, contestare il licenziamento, opponendoti ad esso, con riserva di ricorrere, nei termini di legge, all’autorità giudiziaria.
Fase giudiziale
La lettera di contestazione rischia di rimanere priva di efficacia se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione, o arbitrato.
Questa scadenza non decorre da quando il datore di lavoro riceve l’atto, ma da quando il lavoratore trasmette la contestazione. A differenza della contestazione stragiudiziale, questo adempimento necessita della presenza di un avvocato che depositerà per te l’atto giudiziario.
Il motivo di questo secondo termine è semplice: evitare che la vicenda resti pendente a tempo indeterminato, così creando delle situazioni precarie tra le parti in questione.
Quanto dura il giudizio avverso il licenziamento?
Una volta avviato il giudizio, dovrai attendere i tempi della giustizia che, in tema di lavoro, sono ridotti rispetto ai giudizi ordinari.
Tuttavia, dovrai superare diversi step:
attendere la fissazione dell’udienza da parte del giudice;
espletare il tentativo di conciliazione;
sentire i testimoni;
depositare ulteriori memorie.
A questi passaggi, dovrai aggiungere alcune variabili, quali: scioperi, l’assenza di testimoni, rinvii per l’eccessivo carico di lavoro del giudice e tanti altri ancora.
Solitamente, la media di durata per un ricorso di lavoro è di tre anni. Poi, se sei sfortunato, puoi rischiare di attendere anche fino al doppio del tempo per ottenere giustizia. Diversamente, se la sorte è dal tuo lato, potresti anche chiudere la vicenda con un accordo fuori udienza col tuo ex capo che, sebbene non voglia più assumerti, può ancora offrirti una congrua somma per chiudere la questione giudiziale.
Note
[1] Art.32, legge n.183/2010 del 04.11.2010
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