Come si dimostra la sofferenza morale patita da un’offesa ricevuta in presenza di altre persone?
La reputazione di una persona è fondamentale e inviolabile, se non in casi limite, in presenza di altri diritti di rilevanza costituzionale. Per questi motivi, qualsiasi azione offensiva di questo diritto viene punita dal legislatore, sia dal punto di vista penale, con la reclusione dell’autore del reato, sia dal punto di vista civile, con il risarcimento dei danni morali patiti. Ma come si dimostra il pregiudizio subito dal punto di vista economico? In questo articolo parleremo di diffamazione: prova del danno. Preliminarmente, vedremo le differenze con altre fattispecie simili, le caratteristiche del reato, oltre alle conseguenze civili e penali della condotta diffamante. Infine, scopriremo in che modo si prova il danno non patrimoniale patito e quali sono i criteri di calcolo per il ristoro della reputazione danneggiata.
Indice
La diffamazione
La diffamazione [1] è una fattispecie di reato con la quale si punisce il soggetto che offende la reputazione di un’altra persona, in quel momento assente.
Il reato può consumarsi:
in presenza di altre persone;
con l’utilizzo dei social network o dei giornali;
tramite programmi televisivi o radiofonici;
tramite messaggi.
Il reato di diffamazione non si consuma con la dichiarazione offensiva dell’autore, ma quando tale dichiarazione viene percepita da parte di più persone. La presenza di più persone non deve essere necessariamente contestuale, ma anche differita.
Inoltre, per configurare la fattispecie di reato non è necessario perseguire un intento diffamante, in quanto è ben possibile integrare il reato, anche quando chi offende non è intenzionato a farlo.
Come denunciare?
Il primo passo per avviare il procedimento penale è il deposito di una querela presso la Procura della Repubblica, o anche presso la caserma dei Carabinieri, o il commissariato di Polizia.
All’interno della querela, si esporranno i fatti, oggetto di reato, e si allegheranno eventuali prove documentali, utili a dimostrare i fatti (screenshot, registrazioni visive o telefoniche, estratti documentali).
La querela dovrà essere presentata entro tre mesi a far data dal giorno in cui il reato è stato commesso (coincidente con il momento in cui l’offesa ricevuta è stata percepita da altre persone).
La mancata presentazione della querela entro questo termine, comporterà la decadenza del diritto ad ottenere la condanna penale dell’autore delle offese. Alla persona offesa resterà solo il potere di esercitare l’azione civile per il risarcimento dei danni subiti.
Differenze con l’ingiuria e la calunnia
Molto spesso, si confonde la condotta diffamatoria con altre azioni illecite che, per quanto simili, contengono degli elementi distintivi rilevanti, come l’ingiuria, oggi depenalizzata, e la calunnia.
A differenza di quello che accade nella diffamazione, con l’ingiuria la condotta offensiva è rivolta direttamente alla persona presente, in assenza di altri soggetti.
Nella calunnia, invece, l’accusa è contenuta in una dichiarazione rivolta alle autorità; inoltre, nella calunnia, l’autore del reato è consapevole della falsità della dichiarazione calunniosa resa.
Facciamo un esempio, prendendo come riferimento il reato di furto:
se, durante un colloquio, vieni accusato di cleptomania, in assenza di altre persone, allora si configurerà un’ingiuria;
se vieni accusato di cleptomania davanti ad altre persone, o tramite un mezzo dicomunicazione, allora si configurerà la diffamazione;
se vieni accusato di furto ingiustamente, tramite querela alle forze dell’ordine, allora si configurerà la calunnia.
Cause di non punibilità
Esistono casi in cui la diffamazione, per quanto consumata, non viene punita. Infatti, nel bilanciamento tra diritti costituzionalmente garantiti, occorre da un lato tenere in considerazione la reputazione della persona offesa, e dall’altro anche il diritto alla critica, ugualmente tutelato dal legislatore.
Non tutte le critiche, però, possono essere considerate sufficienti a rendere l’offesa esente da rilevanza penale, ma solo quelle aventi un contenuto di veridicità.
Altro diritto che prevale sulla reputazione è quello alla difesa giudiziaria: se la dichiarazione diffamante ricade all’interno di una vicenda giudiziaria, non potrà essere perseguita, se proferita nell’esercizio del diritto di difesa.
Stesso discorso, infine, va fatto per il diritto di cronaca, afferente i giornalisti e la loro attività professionale. Per prevalere, tale diritto deve rispettare le seguenti condizioni:
la notizia pubblicata deve essere vera;
la notizia deve avere un interesse pubblico;
la notizia deve essere obiettiva e priva di considerazioni personali ulteriormente offensive.
Conseguenze penali del reato
Il reato di diffamazione può essere punito fino a un anno di reclusione o con la multa fino a 1.032 euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena aumenta fino a due anni di reclusione e la multa fino a 2.065 euro.
Quando l’offesa è recata col mezzo della stampa, o altro mezzo di pubblicità, la pena può arrivare fino a tre anni di reclusione, con una multa non inferiore a 516 euro.
Se l’offesa è recata a un corpo politico o ad un magistrato. Tuttavia, essendo un reato non considerato tra quelli a rischio per l’incolumità delle persone, l’arresto non è consentito, né tantomeno la custodia in carcere.
Conseguenze civili del reato
La condotta diffamante non provoca solo conseguenze penali, ma anche di tipo civile. È chiaro, infatti, che l’intento della persona offesa è quello di ottenere un risarcimento del danno subito dall’azione diffamante, unico concreto ristoro in questi casi.
Sappiamo pure che è difficile scontare una pena reclusiva in caso di diffamazione. Per questo, chi difende la propria reputazione in giudizio, lo fa al solo scopo di ottenere una somma di denaro, che servirà sia a rimediare moralmente alle sofferenze patite, sia come azione deterrente nei confronti dell’autore del reato.
Come si prova il danno?
Veniamo al nocciolo della questione: come si prova il danno da diffamazione? In effetti, il danno all’onore e alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non sorge in automatico, con il solo fatto dell’offesa, ma riguarda le conseguenze di tale offesa; per questi motivi, la presenza del danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova.
Il principio di diritto sostiene che, in tema di prova per danni da diffamazione, grava sulla persona offesa l’onere della prova di quanto posto a fondamento della propria richiesta risarcitoria.
Questa prova può esser data anche attraverso presunzioni, che devono pur sempre essere suffragate da elementi concreti, quali la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti offensivi, l’apprezzamento delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione, l’esclusione dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica.
Primo elemento da provare è, sempre, la condotta diffamante: se si è in possesso di una sentenza penale di condanna, allora sarà sufficiente produrre il provvedimento nel giudizio civile e, così, passare alla fase successiva, quella dell’entità del danno.
Se, invece, non esiste una condanna penale, allora si dovrà provare la condotta lesiva in sede civile; ad esempio, tramite l’assunzione di testimoni, la produzione di documenti, o di registrazioni.
Con riguardo all’entità del danno, la prova è rimessa alla valutazione equitativa del giudice [2]. Infatti, il danno non patrimoniale, non essendo suscettibile di valutazione economica, non può essere provato nel suo preciso ammontare.
Così, davanti al giudice civile, dovrai fare necessariamente riferimento a dei parametri presuntivi, quali l’entità della diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della persona offesa, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale.
Facciamo un esempio.
Esempio
Diffamare uno studente universitario in medicina avrà delle conseguenze meno gravi nella vittima, rispetto a offendere pubblicamente un chirurgo di fama nazionale, in quanto le ripercussioni a livello sociale sono più rilevanti in quest’ultimo caso.
Continuando nell’esempio, la diffamazione avvenuta tramite offesa su un gruppo WhatsApp di quattro persone non sarà equiparabile alla diffamazione avvenuta tramite un programma tv, in diretta nazionale.
Il giudice civile sarà, quindi, chiamato, su suggerimento della parte offesa, a valutare questi parametri, al fine di determinare l’importo esatto del risarcimento, sempre oggetto di un’inevitabile decisione arbitraria.
Note
[1] Art.595 c.p.
[2] Art.1226 c.c.
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