Fino a quando è obbligatorio il sostentamento economico nei confronti della prole?
L’arrivo di un figlio è l’evento più bello e importante che possa accadere ad un genitore: i primi sorrisi, i primi passi, le prime parole segnano il papà e la mamma per sempre. Essere genitore, però, comporta anche responsabilità importanti, collegate a doveri imposti dalla legge e, prima ancora, dalla Costituzione. Tra questi doveri, il più rilevante è, di certo, quello di assistenza ed educazione durante i primi anni di vita, fino a quando non riuscirà, con i propri mezzi, a vivere di luce propria. In questo articolo, vedremo in cosa consiste questo dovere di assistenza e fino a quando perdura l’obbligo in capo al genitore. In particolare, vedremo se esiste, o meno, un obbligo di mantenimento figlio maggiorenne con lavoro precario, analizzando alcune delle ultime pronunce giurisprudenziali in merito.
Indice
Obbligo di mantenimento figli
Tra i vari diritti riconosciuti ai figli ci sono quelli ad essere mantenuti, educati, istruiti e assistiti moralmente dai genitori, nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni [1].
A differenza degli altri obblighi, quello al mantenimento ha natura prettamente economica e consiste nel garantire tutti i fabbisogni necessari ad una corretta crescita educativa e sociale.
I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale, o casalingo.
Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, l’obbligo di mantenimento passa in capo agli altri ascendenti, in ordine di prossimità, i quali sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.
Come si quantifica l’assegno?
Durante la normale vita familiare, i genitori stabiliscono le modalità di mantenimento dei propri figli in autonomia, sulla base delle loro possidenze e delle esigenze naturali che un figlio può esigere in virtù dell’età di riferimento.
Qualche problema può sorgere in caso di fase matrimoniale patologica, generata in una separazione o, peggio ancora, nello scioglimento del matrimonio, con il divorzio. Infatti, con la fine del matrimonio, spesso capita che i genitori compromettano i reciproci rapporti civili; tutto questo va a scapito dei figli e dei diritti loro garantiti dal legislatore, in quanto la mancanza di comunicazione tra padre e madre comporta la nascita di vari disguidi e incomprensioni su chi debba contribuire al sostentamento dei bambini.
In questi casi, è fondamentale l’intervento del giudice che, con i suoi poteri giurisdizionali, ha la possibilità di emettere un provvedimento che obbliga i genitori a contribuire al mantenimento dei figli, indicando con precisione quali siano gli oneri economici spettanti a ciascuno di essi. Questo non viene stabilito in modo presuntivo ed arbitrario, ma sulla base delle capacità economiche dei singoli genitori: pertanto, sarà necessario produrre le ultime dichiarazioni dei redditi e le visure che attestano l’effettiva potenza economica del padre e della madre.
È ovvio che i provvedimenti del giudice possono essere oggetto di modifica nel tempo. Può infatti capitare che un genitore, successivamente, migliori la propria capacità reddituale o, al contrario, perda il lavoro.
In questi casi, la sopravvenuta modifica delle condizioni economiche dei genitori è idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale, avendo le circostanze sopravvenute alterato l’equilibrio inizialmente raggiunto ed essendo necessario adeguare l’importo dell’assegno di mantenimento alla nuova realtà reddituale.
Di certo, il genitore non può modificare arbitrariamente i contenuti dell’obbligazione economica al mantenimento posta a suo carico, ad esempio, ospitando i figli nella propria abitazione e provvedendo in tale periodo ai loro bisogni, trattandosi di iniziative estemporanee, in ogni caso inidonee a compensare il mancato versamento dell’assegno su cui l’altro genitore deve poter fare affidamento per il soddisfacimento delle esigenze primarie dei minori.
Sanzioni mancato mantenimento
I genitori che non adempiono ai loro obblighi di mantenimento rischiano gravi conseguenze civili e penali.
Dal punto di vista civile, in caso di inadempimento, il presidente del tribunale, su istanza di chiunque abbia interesse, sentito il genitore inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole.
Dal punto di vista penale, il genitore inadempiente rischia una condanna fino a un anno o la multa da 103 euro a 1.032 euro [2].
Le difficoltà economiche non escludono la sussistenzadel reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare qualora non risulti provato che quelle difficoltà si siano tradotte in uno stato di vera e propria indigenza economica e nell’impossibilità di adempiere, sia pure in parte, l’obbligazione.
Il delitto di omesso versamento dell’assegno periodico per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli, è configurabile anche in caso di violazione degli obblighi di natura patrimoniale stabiliti nei confronti di figli minori nati da genitori non legati da vincolo formale di matrimonio.
Quando cessa l’obbligo di mantenimento?
Ma quando cessa quest’obbligo al mantenimento? Crederai che il raggiungimento della maggiore età possa coincidere con la fine di questo onere da parte dei genitori, ma così non è.
Difatti, l’obbligo perdura anche con il raggiungimento della maggiore età e finché il genitore interessato non dia prova che il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta.
L’assegno di mantenimento non persegue una funzione assistenziale incondizionata dei figli maggiorenni disoccupati, di contenuto e durata illimitata, dovendo il relativo obbligo di corresponsione venire meno nel caso in cui il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica si possa ricondurre alla mancanza di un impegno effettivo verso un progetto formativo rivolto all’acquisizione di competenze professionali o dipenda esclusivamente da fattori oggettivi contingenti o strutturali legati all’andamento dell’occupazione e del mercato del lavoro [3].
Infatti, la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta dal raggiungimento della maggiore età da parte dell’avente diritto.
Qui interviene anche la capacità del genitore, chiamato a sensibilizzare il figlio nell’importanza degli studi, della formazione professionale, ad assecondare, per quanto possibile, le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio, consentendogli di orientare la sua istruzione in conformità dei suoi interessi e di cercare un’occupazione appropriata al suo livello sociale e culturale, anche mediante la somministrazione dei mezzi economici a tal fine necessari, senza forzarlo ad accettare soluzioni indesiderate.
Sarà, tuttavia, necessaria anche la collaborazione del figlio che dovrà attivarsi a completare in un congruo termine gli studi, a reperire un’occupazione adeguata alle proprie capacità ed alla propria specializzazione, nonché compatibile con le opportunità reali offerte dal mercato del lavoro.
Da ciò deriva che il figlio maggiorenne, assunto presso un’azienda con lavoro a tempo determinato, o altra tipologia contrattuale definita “precaria” non è considerato autosufficiente per la legge; va da sé che, in caso di terminata avventura lavorativa, il genitore dovrà preoccuparsi di assistere economicamente il proprio figlio, fino a quando questi raggiunga quello stato patrimonialmente autonomo.
Note
[1] Art.315 bis c.c.
[2] Art. 570 bis c.p.
[3] Cass. civ., n.18785/2021 del 02.07.2021
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