Puoi tutelarti dalla condotta discriminatoria del tuo capo o dei tuoi colleghi durante lo svolgimento delle mansioni? In che modo?
Negli ultimi anni, i casi di mobbing lavorativo sono sempre più frequenti. Gli atteggiamenti ritorsivi dei datori di lavoro, o anche dei colleghi, possono provocare dei veri e propri danni alla vittima, sia dal punto di vista professionale, che morale: demansionamenti ingiusti, trasferimenti discriminanti, sbeffeggiamenti davanti ai clienti. Ti sei ritrovato in un ambiente ostile di lavoro: che fare? In questo articolo, dopo aver compreso questo fenomeno sociale, vedremo quali sono i mezzi a disposizione per porre fine alle condotte vessatorie del tuo capo o dei tuoi colleghi e ottenere il risarcimento dei danni patiti per tutte le ingiustizie patite. Vedrai, da ultimo, cosa può accadere nel caso inverso in cui sia il dipendente a creare un ambiente ostile di lavoro ai danni dell’azienda, analizzando una recente sentenza della Cassazione che ha confermato la sanzione del licenziamento per un caso di mobbing invertito.
Cos’è il mobbing?
In assenza di una definizione data dalla legge, il significato di questo termine è stato determinato, negli anni, dai giudici e dagli studiosi del diritto, che così hanno permesso alle vittime di individuare il fenomeno in questione, al fine di poterlo combattere nei tribunali competenti.
Oggi, per mobbing, s’intende comunemente una condotta ostile del datore di lavoro o del superiore gerarchico, continuata e protratta nel tempo, tenuta all’interno di un ambiente di lavoro.
Questo comportamento deve essere reiterato e deve avere un fine specifico: la persecuzione del lavoratore, tale da determinare una sofferenza nei suoi confronti costringendolo, alle volte, a lasciare il proprio posto di lavoro [1].
I comportamenti del tuo superiore non devono necessariamente basarsi su fatti illeciti. Il mobbing può essere integrato da condotte lecite poste in essere ripetutamente contro il lavoratore, portato, ad esempio, all’emarginazione dal contesto lavorativo e dal rapporto con i colleghi.
Mobbing verticale e orizzontale
Questo fenomeno può manifestarsi in due modalità: verticale e orizzontale.
Il mobbing verticale riguarda la condotta del datore di lavoro, o del superiore gerarchico, nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro.
In questo caso, per ottenere la tutela desiderata, dovrai provare:
la molteplicità di comportamenti persecutori, posti in essere in modo prolungato, secondo un fine discriminatorio;
il danno morale subito;
il collegamento tra la condotta persecutoria del datore, o del superiore gerarchico, e il danno morale;
la volontà di provocare quel danno.
Conseguentemente, un singolo atto illegittimo non sarà di per sé sufficiente a dimostrare la presenza del comportamento mobbizzante.
Nel caso di mobbing orizzontale, invece, la condotta lamentata viene commessa dal proprio collega di lavoro, colui che ricopre la stessa posizione gerarchica: ad esempio, colui che, attraverso pettegolezzi o calunnie, cerca di emarginarti dagli altri dipendenti al fine di prendere il tuo posto o per sola invidia. In questo caso, oltre al collega di lavoro, verrà punito anche il datore di lavoro che avrebbe dovuto prendere tutte quelle cautele necessarie ad evitare queste condotte all’interno del luogo di lavoro.
Differenza con lo straining
Nell’ultimo periodo, si è assistito alla nascita di un ulteriore fenomeno sociale molto spesso associato al mobbing, ma che, tuttavia, presenta delle differenze con quest’ultimo: lo straining.
Esso si caratterizza come una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato provocato appositamente ai danni del lavoratore con condotte di ostilità o discriminazione, i cui effetti negativi si protraggono nel tempo.
Ti chiederai, qual è la differenza con il mobbing? Mentre quest’ultimo si caratterizza per la continuità delle azioni vessatorie, per lo straining sarà sufficiente anche una sola azione, purché i suoi effetti siano duraturi. Classico esempio è il demansionamento o il trasferimento effettuato per antipatia o ragioni politiche.
Tutela del lavoratore
Cosa puoi fare se sei vittima di queste condotte persecutorie in ambito lavorativo? Innanzitutto, puoi costringere il datore di lavoro ad interrompere i comportamenti illeciti o, nel caso di mobbing orizzontale, a far cessare la condotta tenuta dai colleghi.
Infatti, il datore di lavoro è responsabile non solo ove direttamente rechi danno alla personalità del lavoratore ma, altresì, nel caso in cui non si attivi per la cessazione dei comportamenti scorretti posti in essere dai colleghi di lavoro del dipendente. Sul datore grava, infatti, una presunzione di colpa per la mancata vigilanza di comportamenti scorretti, poiché su di lui è richiesto questo controllo imparziale a difesa dell’ambito lavorativo.
Inoltre, potrai chiedere il risarcimento del danno patito moralmente a causa della pluralità di comportamenti commessi dal datore di lavoro o dai colleghi di lavoro di natura vessatoria [2]. Il risarcimento potrebbe riguardare il danno biologico, il danno alla professionalità e quello esistenziale subito.
Come il mobbing, sarà risarcibile anche il danno da straining, laddove riuscissi, anche qui, a dimostrare il torto subito. Ad esempio, la Cassazione ha riconosciuto la richiesta di risarcimento ad un impiegato bancario, prima allontanato dalla direzione generale, e poi oggetto di lettere di beffa, diffuse in banca [3].
Può essere licenziato il lavoratore ostile?
Ma cosa succederebbe se, a parti invertite, fosse il lavoratore a tenere un atteggiamento ostile nei confronti del datore di lavoro? È successo ad un’azienda, che ha subìto gli atteggiamenti ostili di un dirigente: questi comportamenti non si erano arrestati, anche di fronte a precedenti sanzioni disciplinari. Pertanto, davanti ad una situazione divenuta insostenibile, il datore di lavoro era stato costretto a licenziare il dirigente, che si era subito affidato ad un legale.
I primi gradi di giudizio avevano ritenuto legittimo l’estremo provvedimento disciplinare, pertanto, il lavoratore si affidava alla Cassazione [4]. Anche qui, tuttavia, la Suprema Corte non ha avuto dubbi: le varie contestazioni disciplinari, seguite dalle sanzioni, oltre che i reiterati atteggiamenti ostili avevano rotto definitivamente il rapporto fiduciario con l’azienda, così legittimando il licenziamento lamentato.
Note
[1] T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, n. 645/2018 del 29.08.2018
[2] Cass. civ., sez. lav., n. 16256/2018 del 20.06.2018
[3] Cass. civ., sez. lav., n. 7844/2018 del 29.03.2018
[4] Cass. civ., sez. lav., n. 12534/19 del 10.05.2019
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