Quando è possibile salvaguardare l’immobile matrimoniale affidato al coniuge e ai figli dalla rivendicazione di altre persone?
Prima di sposarsi, i futuri marito e moglie pensano sempre al luogo in cui strutturare la vita familiare che si sta formando. La casa coniugale è, infatti, luogo sacro per la famiglia, sia per i coniugi che, soprattutto, per i figli che arrivano. Purtroppo, alle volte i matrimoni non durano e, dopo averle provate tutte, i coniugi decidono che separarsi sia la soluzione migliore per tutti. A prescindere se tale separazione sia pacifica, o conflittuale, una questione fondamentale da decidere riguarda l’assegnazione della casa familiare, soprattutto se vi è la presenza di figli minorenni, o maggiorenni non economicamente autosufficienti: in questo caso, la decisione del giudice sarà sempre volta a salvaguardare quest’ultimi, assegnando il diritto di abitazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole. Ma cosa succede se su quell’immobile, a seguito dell’attribuzione del giudice, sia sorto un diritto di una terza persona ad acquisirlo (una vendita, ad esempio)? Il coniuge assegnatario e i figli possono opporsi ad una eventuale rivendicazione del terzo? Dopo aver analizzato l’istituto della casa coniugale nella fase matrimoniale e postmatrimoniale, tratteremo la tematica relativa all’assegnazione casa coniugale: opponibilità terzi.
Cosa si intende per casa coniugale?
Con questo termine, si suole indicare la casa dove gli sposi hanno stabilito la loro vita matrimoniale e, quindi, hanno strutturato la nuova famiglia insieme.
Questo termine non deve essere necessariamente collegato alla residenza familiare. Infatti, i coniugi ben possono avere una residenza differente da quella coincidente con la casa coniugale; unico elemento necessario affinché possa considerarsi casa familiare è che la famiglia abbia individuato tale abitazione come il fulcro della vita domestica dei singoli componenti, per tale intendendosi il luogo dove marito, moglie e figli si riuniscono abitualmente per mangiare e dormire.
Rientra nella comunione dei beni?
La casa coniugale può, come non può, rientrare nella comunione dei beni dei coniugi. Infatti, secondo quanto stabilito dal legislatore [1], costituiscono oggetto della comunione:
gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;
i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;
le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.
Questo significa che la casa coniugale rientrerà nella comunione dei beni se acquistata da entrambi, o da uno solo dei coniugi, successivamente al matrimonio. Diversamente, l’immobile resterà di proprietà del coniuge che, prima del matrimonio, ha acquistato in autonomia la casa.
Infatti, per il legislatore, il patrimonio della persona esistente prima della celebrazione del matrimonio non deve miscelarsi con il patrimonio dell’altro partner, se non per gli acquisti eseguiti una volta convolati a nozze.
A chi viene assegnata la casa in caso di rottura del rapporto?
L’assegnazione dell’immobile familiare avviene considerando prioritariamente l’interesse dei figli. Dopodiché, il giudice terrà conto dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà appartenente ad uno dei due coniugi, piuttosto che ad entrambi [2].
Se in presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio essendo necessaria la consapevolezza di entrambi i genitori circa il luogo di abitazione dei propri figli.
Conseguenza della mancata comunicazione potrebbe essere il risarcimento del danno eventualmente patito dal coniuge inconsapevole per la difficoltà di reperire il proprio figlio.
Deve essere trascritto il provvedimento di assegnazione?
Il provvedimento con cui il giudice assegna la casa familiare ad uno dei due coniugi non necessariamente deve essere trascritto presso i pubblici registri immobiliari, ma farlo può diventare molto importante per gli interessi del coniuge assegnatario e della prole con esso convivente.
Infatti, la funzione della trascrizione del provvedimento o dell’accordo di assegnazione della casa coniugale è quella di rendere opponibile ai terzi l’esistenza di tale vincolo sull’immobile.
Una volta pubblicizzato tale provvedimento presso la conservatoria immobiliare di competenza, il coniuge assegnatario potrà, infatti, far valere il proprio diritto abitativo nei confronti di terzi che, successivamente, abbiano acquistato quell’immobile, perché venduto dal coniuge non assegnatario.
In questo modo, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, sia in ipotesi di separazione dei coniugi che di divorzio, sarà opponibile al terzo successivo acquirente del bene, atteggiandosi a vincolo di destinazione, estraneo alla categoria degli obblighi di mantenimento e collegato all’interesse superiore dei figli a conservare il proprio “habitat” domestico.
È opponibile a terzi il provvedimento di assegnazione non trascritto?
Ma cosa succede se il provvedimento di assegnazione non viene trascritto? Ebbe secondo la giurisprudenza [3], il provvedimento può essere comunque opposto ai terzi.
Questo può succedere, ad esempio, quando il provvedimento di assegnazione della casa familiare riguardi il coniuge affidatario di figli minori (o maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa); in tali casi, l’assegnazione – anche se non trascritta – è opponibile nei limiti del novennio dall’emissione del provvedimento anche al terzo acquirente dell’immobile, almeno finché perduri la minore età del minore, o la non autosufficienza del maggiorenne.
In questo caso, quindi, il terzo sarà obbligato a rispettare il vincolo di destinazione collegato all’interesse dei figli. Né, tale diritto verrebbe meno con la morte del coniuge non assegnatario posto che il diritto di abitazione non può dirsi venuto meno per effetto della morte dell’ex coniuge, divorziato, dell’assegnatario affidatario della prole, trattandosi di un diritto personale di godimento collegato direttamente all’interesse dei figli.
Per tale motivo, il vincolo può venire meno solo con la fine dei presupposti fondanti il riconoscimento di quel beneficio: ad esempio, la morte del beneficiario dell’assegnazione, il compimento della maggiore età dei figli o il conseguimento da parte degli stessi della indipendenza economica, il trasferimento altrove della loro abitazione, il passaggio a nuove nozze, oppure laconvivenza more uxorio del genitore assegnatario, ovvero la mancata utilizzazione da parte dell’assegnatario, sempre previa valutazione dell’interesse prioritario dei figli [4].
In ogni caso, il terzo acquirente – per verificare l’esistenza attuale dei requisiti di opponibilità dell’assegnazione – potrà proporre un’ordinaria azione di accertamento e, nel caso in cui dovesse aver ragione in merito, potrà ottenere la condanna del coniuge assegnatario al rilascio dell’immobile.
Note
[1] Art. 177 cod. civ.
[2] Art. 337 sexies cod. civ.
[3] Cass. civ. n.1744/2018 del 24.01.2018
[4] Cass. civ. n.772/2018 del 15.01.2018
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