Una interessante sentenza sulla legittimità di un licenziamento nei confronti del cassiere che utilizza indebitamente la propria carta fedeltà per scopi personali.
Può il cassiere approfittare del cliente occasionale per ricavare dai suoi acquisti i punti premio per la propria carta fedeltà senza il rischio di perdere il proprio posto di lavoro? Evidentemente si, sempre che il vantaggio economico sia irrisorio.
A dirlo è una recente sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione[1], che potrebbe cagionare una incontrollata proliferazione di condotte, valutate dai più come mala consuetudine all’italiana.
Capita, infatti, non di rado, che il cliente di un supermercato si ritrovi dinanzi al cassiere, all’atto di pagare, senza la famosa carta fedeltà, studiata dalle società di settore per l’acquisizione di un numero sempre maggiore di clientela, e finalizzata all’ottenimento di innumerevoli vantaggi promozionali, sia nell’immediato, che nel lungo periodo, attraverso l’accredito dei classici punti premio.
Può capitare, ancor meno di rado, che, in assenza di questa tessera, il cassiere di turno, con la propria carta fedeltà, possa agevolare il cliente che, in mancanza, sarebbe costretto a pagare a prezzo pieno i prodotti in offerta. Lo stesso cassiere, però, non farebbe una gentilezza alla sola clientela, ma anche a se medesimo visto che, con la propria carta, acquisirebbe punti fedeltà a dismisura, commutabili un domani in cartamoneta, o in buoni spesa.
Orbene, questa condotta, per quanto eticamente scorretta, non può giustificare un provvedimento disciplinare, quale il licenziamento o, quantomeno, non lo può giustificare nella misura in cui il guadagno percepito dal cassiere sia assolutamente irrisorio, così come capitato al dipendente protagonista della sentenza citata che, licenziato in tronco per aver ricavato dalla condotta contestata 414 punti premio (l’equivalente in denaro di € 4,14), dovrà essere riassunto dalla società datrice di lavoro.
In più, l’esiguo guadagno economico citato non provocherebbe danni economiciall’azienda datrice, in quanto i punti accreditati a quella carta conseguirebbero all’acquisto regolare di merci e, pertanto, non comporterebbero alcuna perdita finanziaria per la società proprietaria del supermercato.
Dal punto di vista giuridico, quindi, potrà stare tranquillo il cassiere di turno che decida di far fruire della propria carta il cliente che ne è sprovvisto, a patto che la condotta sia saltuaria e non finalizzata a lucrarne gli effetti economici.
Dal punto di vista etico, sarebbe, viceversa, auspicabile un richiamo al buonsenso per questi dipendenti, anche al fine di creare quell’invocato rapporto di fedeltà sia con la società datrice di lavoro, che con la clientela, alla quale si potrebbe menzionare, con una persuasione maggiore, la possibilità di ottenere una fidelity card personale.
Fermo restando che, risultati più efficaci si otterrebbero se i clienti dei vari supermercati, intenzionati ad usufruire delle varie offerte giornaliere, si munissero dell’apposita carta fedeltà sia per ottenere gli effetti ai quali queste tessere sono finalizzate, sia perché una clientela tessero-munita eviterebbe un malcostume che, sebbene poco rilevante per entità, farebbe gola a qualche lavoratore più furbo.
Note
[1] Cass. sent. n. 9680/2016 dell’ 11.05.2016.
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