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Immagine del redattoreSalvatore Cirilla

Pagamento retta RSA: come svincolarsi?

Mia madre, affetta da Alzheimer, è stata ricoverata presso una RSA. In quel frangente, mi hanno fatto firmare un’assunzione di responsabilità per il pagamento della retta. Ho provveduto a disdire contratto e a non pagare più, volendo portare via mia madre. Loro mi hanno minacciato di fare azione legale. Come posso liberarmi?


Secondo la normativa vigente, per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica.


Come prevede chiaramente la legge, al fine di ottenere l’integrazione economica del Comune, è necessario che:

  • il ricovero presso la struttura sia necessario;

  • il comune sia previamente informato.

Ricorrendo questi due requisiti, il Comune dovrebbe contribuire per la quota parte.


È doveroso precisare, anche ai fini di un’eventuale contestazione, che al pagamento delle spese è tenuto il Comune della residenza effettiva del soggetto prima del ricovero e non quello della residenza anagrafica, in quanto, essendo più prossimo ai bisogni della persona, se previamente informato dell’intenzione di ricovero, è in condizione di valutare meglio le modalità della presa in carico da parte della struttura.


C’è da dire, sul punto, che la giurisprudenza più recente ritiene che un’interpretazione ragionevole dell’art. 6, comma 4, l. n. 328/2000 è nel senso che l’obbligo a carico del Comune sorge nel momento in cui si verificano le condizioni per procedere all’erogazione del contributo, momento che si verifica quando la situazione economica della persona assistita si deteriora a tal punto da non potersi permettere di corrispondere la retta alla casa di riposo con le proprie risorse economiche (T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 01/02/2022, n. 232).


La questione economica è requisito fondamentale per ottenere l’intervento comunale, e non può essere derogata da alcun regolamento regionale, né comunale, in virtù della prevalenza della norma statale nella gerarchia delle fonti.


In tema di assistenza, nei casi di ricovero presso r.s.a. o strutture analoghe, il SSN è tenuto a versare la quota sanitaria, che non può essere inferiore al 50% della retta totale. Il soggetto non autosufficiente, superiore ai sessantacinque anni ovvero con handicap grave, deve contribuire, sulla base delle sue personali condizioni economiche. È stato poi imposto alle regioni, comprese quelle a statuto speciale, nonché alle province autonome di Trento e Bolzano, di garantire le prestazioni sanitarie residenziali ai predetti soggetti.


Questa premessa è fondamentale, soprattutto per analizzare la giurisprudenza che riguarda i casi in cui il Comune tenta di recuperare la quota posta a Suo carico, che per giurisprudenza non potrebbe richiedere, essendo il beneficiario indigente.


Qui, da quanto deduco, a richiedere le somme è direttamente la RSA, per la quota di spettanza del beneficiario e non per quella in cui interviene l’Ente a salvaguardia dell’impossibilità economica, che difetterebbe nel caso di Sua madre.


Sul punto, ci si potrebbe avvalere di quella giurisprudenza collegata al Comune, per sostenere che la clausola di accollo della retta debba dirsi nulla, perché mancante di causa.


In sostanza, si dovrebbe sostenere che vi sarebbe la totale assenza della ragione giustificativa, in concreto, del contratto, stante la evidente irrealizzabilità dell’assunzione della obbligazione altrui che risulti, per le considerazioni esposte, assolutamente insussistente.


Sua madre è stata ricoverata perché affetta dal morbo di Alzheimer (come si evince dal quesito). Pertanto, vi era l’esigenza di un monitoraggio quasi giornaliero per l’accertamento delle sue condizioni e per la definizione della terapia, tale da considerare il ricovero necessario, secondo quanto da Lei riferito. Da lì ne deriva un obbligo di assistenza sanitaria, a cui Lei, quale parente, non dovrebbe partecipare, dal punto di vista economico.

Tuttavia, potrebbe non essere un’eccezione del tutto vincente, sia perché non riguarda i casi di soggetti economicamente non autosufficienti, come nel caso delle rette comunali, che intervengono nei casi di soggetti “indigenti” (Sua madre è economicamente autosufficiente), sia perché la richiesta proviene dalla RSA, con la quale Lei si è impegnata contrattualmente.

A mio avviso ci sarebbe, però, una questione più interessante.

Lei riferisce di aver correttamente notificato recesso.

La Suprema Corte ha stabilito che dopo l’esercizio del suddetto recesso, nulla è dovuto da parte del parente obbligato.

Diversamente dalla posizione del debitore principale (la madre) che ha beneficiato della prestazione, il terzo (la figlia), infatti, non può dirsi contraente di un “contratto di assistenza e cura” in quanto non è il soggetto sul quale si sono dispiegati gli effetti del rapporto. Essa non ha goduto, appunto, né di cure né di assistenza, il che significa che ogni suo contratto con la struttura dovrà trovare una diversa qualificazione giuridica.


Qualunque sia la qualificazione giuridica, il recesso rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, in sintonia con i principi di buona fede nell’esecuzione del contratto.


Se l’anziano ricoverato non è più in grado di sostenere il costo della retta della RSA con propri mezzi, i famigliari non possono essere obbligati al pagamento, e nel caso si fossero precedentemente impegnati, possono in qualunque momento recedere dall’impegno assunto.


Nel caso di specie, Lei ha rappresentato come il “debito” che Le richiedono sarebbe maturato dopo il recesso.


Pertanto, si potrebbe sostenere che Lei da quel momento ha rinunciato a garantire quella retta e che nulla può essere più richiesto a Lei.


Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Salvatore Cirilla

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