Quando una scadenza processuale è derogabile? E quando no?
Parlando con il proprio avvocato di fiducia, alle volte si sente dire che bisogna depositare un determinato atto entro un termineperentorio; altre volte, invece, si sente che il Giudice avrebbe dovuto fare la sentenza entro una determinata data, alla fine non rispettata. E ci si domanda sempre più spesso perché alcuni termini sono essenziali e, quindi, inderogabili e altri, viceversa, possono essere violati senza alcuna rilevante conseguenza.
In questo articolo, vedremo perché si parla di termini ordinatori e termini perentori, delineando così la differenza tra le due tipologie di scadenze.
Che cosa sono i termini processuali?
All’interno di un processo, sia esso civile, penale o amministrativo, le parti processuali, così come gli organi giudiziari, sottostanno a dei termini entro i quali (o oltre i quali) dover effettuare una determinata attività processuale.
Questi termini sono stabiliti dalla legge o, in mancanza, dal Giudice, anche a pena di decadenza, soltanto se la legge lo permette espressamente [1]. Pertanto, a seconda di chi stabilisce questi termini, possiamo avere:
un termine legale, se stabilito espressamente dalla legge,
un termine giudiziale, se deciso dal Giudice chiamato a sentenziare su una determinata controversia.
Una volta dinanzi ad un termine processuale, bisogna saper calcolare il suo decorso, così da non incorrere in errati conteggi e, conseguentemente, in irrecuperabili decadenze.
È così che la legge [2] ha stabilito alcune delle seguenti modalità di calcolo:
all’interno del termine, non si deve tener conto del giorno o (se un termine ad orario) dell’ora iniziale;
il calendario di riferimento deve essere quello comune e, cioè, il nostro calendario gregoriano;
i giorni festivi rientrano nel termine; tuttavia, se il giorno di scadenza ricade nel giorno festivo, allora il termine sarà prorogato automaticamente al giorno successivo, non festivo. Stesso discorso va fatto per il sabato: anche qui, la scadenza sarà prorogata fino a lunedì.
Inoltre, la legge prevede una sospensione feriale di trenta giorni, decorrenti dal 1° agosto di ogni anno, all’interno dei quali il termine viene sospeso e riprende a decorrere a partire dal 1° settembre. Ovviamente questa sospensione non si applica indistintamente a tutti i procedimenti, essendo prevista un’eccezione per alcune materie che, per la loro natura cautelare, o di urgenza, non possono attendere il protrarsi di questo periodo.
Oltre a legali e giudiziari, i termini possono essere ordinatori o perentori.
Cosa significa termine ordinatorio?
Quando un termine è ordinatorio, il suo mancato rispetto non produce alcuna conseguenza giuridica per il soggetto che non l’ha rispettato, tranne nel caso in cui il Giudice, dopo una valutazione puramente discrezionale, decida che lo spirare dello stesso abbia maturato una situazione incompatibile con la natura dell’atto giudiziale per il quale il termine era stato previsto.
I termini che il legislatore prevede sono di regola tutti ordinatori [1].
Questi termini, una volta scaduti, possono essere prorogati dal Giudice, spostando così la scadenza in avanti; una volta scaduto anche il termine previsto dalla proroga, l’attività prevista e non compiuta non potrà più essere realizzata se divenuta incompatibile con la natura dei tempi originariamente previsti. Tuttavia, questa scadenza dovrà essere eccepita dalla parte avversaria, altrimenti la parte onerata a quell’attività potrà fare salva la propria decadenza compiendo l’attività processuale richiesta.
Qual è la funzione del termine ordinatorio?
Le finalità del termine ordinatorio, così come previste dal legislatore, sono quelle di regolare l’attività processuale, dettando le varie tempistiche al giudizio.
Per quanto la loro inosservanza non provochi delle vere e proprie decadenze (se non altrimenti decise dal Giudice, sulla base di una sua valutazione discrezionale), ciò non significa che la loro scadenza non possa provocare effetti negativi per le singole parti processuali quali – ad esempio – il ritardo nell’emissione di un provvedimento giudiziale e, quindi, nell’effetto giuridico che si auspicava ottenere dallo stesso.
Cosa significa termine perentorio?
Quando un termine viene definito perentorio, allora il rispetto della sua scadenza è considerato essenziale, pena la perdita della possibilità di compiere quell’attività processuale che era stata collegata ad esso.
Il termine deriva infatti dal latino “peremptorius”, derivato del verbo “perimĕre” che letteralmente significa distruggere, annientare. E la sua funzione è proprio quella di eliminare, una volta spirato il termine, qualsiasi possibilità di effettuare l’attività processuale richiesta.
La perentorietà del termine è data dalla legge, se espressamente prevista o, in mancanza, dal Giudice nel corso del giudizio.
Qual è la funzione del termine perentorio?
La funzione del termine perentorio è presto che dimostrata. Alla stessa stregua del termine ordinatorio, serve a dettare le tempistiche di un procedimento ma, a differenza del primo, per l’importanza che l’attività processuale condizionata alla sua osservanza ha sia tra le parti, che all’interno del più grande contesto sociale, la sua inosservanza crea una decadenza insanabile.
In questo modo, si evita che i procedimenti giudiziali abbiano una durata indefinita e, al contempo, si garantisce il funzionamento della macchina della giustizia che, diversamente, non assicurerebbe più quei caratteri di certezza e sicurezza sui quali il cittadino fa affidamento quando decide di intraprendere un’azione giudiziaria.
Qualche esempio pratico esistente nelle procedure giudiziali e non.
Per capire quando ci troviamo difronte ad un termineordinatorio e quando, viceversa, il termine indicato debba considerarsi perentorio e inderogabile facciamo qualche esempio concreto.
Una volta che il Giudice decide di fare la sentenza della vostra causa, concede a voi e alla vostra controparte un termine per le memorie conclusive ed entro sessanta giorni dal termine del deposito di queste memorie, lo stesso Giudicante deve depositare in cancelleria la relativa sentenza [3].
Ebbene, questo termine è ordinatorio!
Ciò significa che potrà capitare – a seconda della mole di lavoro del singolo magistrato, della complessità della causa da decidere e di tante altre varianti – che la vostra sperata sentenza possa essere emessa anche molto dopo i due mesi previsti dalla legge.
Con riguardo ai termini perentori fissati dalla legge, essi sono tantissimi, soprattutto nel giudizio civile dove le parti processuali e, per loro, i legali devono sottostare ad una serie di scadenze il cui non rispetto provoca il più delle volte una situazione di difficile rimedio: si pensi ai termini per l’impugnazione della sentenza di primo grado, o ai termini per l’impugnazione della sentenza della Corte d’Appello dinanzi alla Corte di Cassazione; ai termini per fare opposizione all’ingiunzione di pagamento ricevuta; a quelli per depositare le memorie autorizzate; e, ancora, a quelli per proporre domande nuove, o produzioni documentali.
Tutti questi termini, fissati dalla legge, sono considerati come essenziali e, pertanto, il loro mancato rispetto ne provoca una decadenza irrimediabile.
Capita, inoltre, che il legislatore, non curandosi della delicatezza della questione, fissi dei termini entro i quali, o dopo i quali, poter effettuare un’attività processuale, senza specificare se il rispetto di quella scadenza sia da intendersi come necessario, o meno.
In questi casi, in nostro aiuto, accorre la giurisprudenza producendo sentenze chiarificatrici sul punto.
Ad esempio, nel procedimento amministrativo, la Pubblica Amministrazione è soggetta al termine di trenta giorni, entro il quale deve porre fine all’iter con una decisione espressa. La natura di questo termine è stata oggetto di numerosi dibattiti, e numerose pronunce giurisprudenziali divergenti, tutte volte a delineare le conseguenze del mancato rispetto di quella scadenza.
Alla fine, come succede in questi casi, è dovuto intervenire il più alto organo di giustizia amministrativa che ha configurato la natura di questo terminecome ordinatoria e non perentoria: non esiste, infatti, alcuna sanzione, prevista dalla legge, che preveda la decadenza dell’autorità amministrativa competente dal prendere una decisione oltre la scadenza prefissata [4].
E come questa, tante altre pronunce sono sbarcate sui tavoli dei magistrati, anche della Suprema Corte di Cassazione, a dimostrazione del fatto che, non sempre, la differenza tra questi termini, nella pratica, sia di facile individuazione.
Note
[1] Art.152 cod. proc. civile
[2] Art.155 cod. proc. civile
[3] Art. 275 cod. proc. civile
[4] Sentenza Cons. Stato, Sez. VI, n. 3215 del 25.06.2008
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